LA VOCE DI ERRI DE LUCA
Continuavo a leggere qualche
giornaletto illustrato, ma di più i libri che mi riempivano il cranio e mi
allargavano la fronte.
(
Erri De Luca, I pesci non chiudono gli occhi, Feltrinelli, p.22)
Il
viaggio di Erri De Luca inizia dal lontano 1989, anno in cui pubblica il suo
primo romanzo Non ora , non qui. Allora
lo scrittore aveva 39 anni e lavorava in un cantiere edile, come operario.
Con
la sua faccia di “vecchio bambino che sa depositare la parola nel cuore di chi
legge”, si è presentato mercoledì 20 febbraio nella Sala teatro del Comune di
Mandela per parlarci e ascoltarci, come solo lui sa fare. Un’occasione davvero
unica; infatti tantissimi l’hanno colta. La sala era affollatissima e
soprattutto brulicava di partecipazione e interesse, come è stato evidente dal
quel rimbalzare, da un lato all’altro, del microfono senza fili che ha
tracciato una fitta rete di “corrispondenze amorose”. Intanto la prima sinapsi
ad entrare in funzione, è stata quella di Laura De Simone, segretaria
dell’UNITRÈ, alla quale si deve l’incontro.
La
scena: una quinta di teatro spoglia di arredi; eccezioni un tavolo e una sedia; un microfono. Il
sipario aperto, ma dello scrittore nessuna traccia. Al di sotto del
palcoscenico, Erri De Luca, con la sua aria di uomo comune, rovescia
immediatamente il punto di vista unidirezionale e passa la parola al pubblico, che freme di domandare. E così,
come durante gli inverni davanti al camino, il racconto dello scrittore si è
dipanato simile ad un fiume che lentamente raggiunge la sua foce, formando ,
talvolta, gorghi che costringono ad arrestarsi.
Ogni lettore instaura tra sé e
l’opera che sta leggendo un rapporto speciale, una sorta di attrito,
riconoscendosi in essa, in quanto vi trova conferma di ciò che è o di quello
che sta cercando, dice Erri. Ogni
lettore di Erri, infatti, è costretto a fermarsi , non appena inciampa in uno
dei gorghi della sua scrittura.
Che cos’ è per lei la scrittura? Ha chiesto
qualcuno dal pubblico. È un residuo
solido lasciato dal tempo, ha spiegato lo scrittore, avvalendosi
di un’immagine che ha subito fatto comprendere il senso della sua affermazione.
La scrittura è come quelle pozze marine prosciugate dal sole, nelle quali
rimane visibile solo una crosta di sale. Ebbene, quel sale indurito, è la
scrittura di Erri, che non inventa storie, perché non ha bisogno di farlo,
potendo attingere nel pozzo della sua memoria. Così ogni fatto della propria
vita, ogni persona cara hanno, grazie alla scrittura, la possibilità di
rivivere e di farlo per sempre. Le sue storie esprimono il desiderio di
riaffermare il passato, costringendolo a esserci una seconda volta: la
scrittura diviene mezzo, e ciò ha del miracoloso, per tornare a essere da
qualche parte, insieme a qualcuno.
Non esistono “tempi supplementari”, non c’è un’altra vita dopo la morte,
l’unica eternità è quella affidata alla pagina scritta. A ispirare lo
scrittore, quindi, è il bisogno di raccontare la propria vita, soprattutto
quella del suo passato, quando i racconti orali delle donne , in primis della
madre, poi la stanza dei libri
di suo padre hanno incoraggiato e avviato la sua attività di scrittore,
iniziata con la produzione di favole sugli animali, sulla scia
dell’entusiastica scoperta della favolistica latina. Ma per Erri c’è qualcosa
di più. La scrittura e la lettura, infatti, diventano strumenti per la vita, mezzi atti a svelare
le insidie linguistiche di questi tempi
ciarlatani, spacciatori di vocaboli falsi e produttori di parole prive
di consistenza.
E
siccome la lingua batte dove il dente duole, quale luogo è maggiormente
deputato a guidare questa riscossa della parola, se non la scuola? A che cosa, se non alle
istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, spetta la riscoperta della
responsabilità della parola? Più si
legge, più si è padroni della propria lingua, questa è la sola e unica
risposta ai precedenti interrogativi. Ed è la risposta di Erri De Luca.
Colpisce,
perciò, che un uomo come lui, scrittore, saggista, poeta molto apprezzato, si
schernisca con eccessiva modestia, di fronte a chi intravede nella sua parola
scritta, un messaggio di verità. E questo perché lui stesso, in qualche modo lo
ha autorizzato, definendo la verità come emozione improvvisa, anche se
destinata a scomparire presto, travolta dall’ovvietà.
Sull’ovvietà
delle sue parole, ci sarebbero molti dubbi, ma sull’emozione dei suoi gorghi
linguistici, nessuno.