domenica 24 febbraio 2013

Ho incontrato Erri De Luca


LA VOCE DI ERRI DE LUCA

Continuavo a leggere qualche giornaletto illustrato, ma di più i libri che mi riempivano il cranio e mi allargavano la fronte.
( Erri De Luca,  I pesci non chiudono gli occhi, Feltrinelli, p.22)

Il viaggio di Erri De Luca inizia dal lontano 1989, anno in cui pubblica il suo primo romanzo Non ora , non qui. Allora lo scrittore aveva 39 anni e lavorava in un cantiere edile, come operario.
Con la sua faccia di “vecchio bambino che sa depositare la parola nel cuore di chi legge”, si è presentato mercoledì 20 febbraio nella Sala teatro del Comune di Mandela per parlarci e ascoltarci, come solo lui sa fare. Un’occasione davvero unica; infatti tantissimi l’hanno colta. La sala era affollatissima e soprattutto brulicava di partecipazione e interesse, come è stato evidente dal quel rimbalzare, da un lato all’altro, del microfono senza fili che ha tracciato una fitta rete di “corrispondenze amorose”. Intanto la prima sinapsi ad entrare in funzione, è stata quella di Laura De Simone, segretaria dell’UNITRÈ, alla quale si deve l’incontro.
La scena: una quinta di teatro spoglia di arredi; eccezioni  un tavolo e una sedia; un microfono. Il sipario aperto, ma dello scrittore nessuna traccia. Al di sotto del palcoscenico, Erri De Luca, con la sua aria di uomo comune, rovescia immediatamente il punto di vista unidirezionale e passa la parola  al pubblico, che freme di domandare. E così, come durante gli inverni davanti al camino, il racconto dello scrittore si è dipanato simile ad un fiume che lentamente raggiunge la sua foce, formando , talvolta, gorghi che costringono ad arrestarsi.
Ogni lettore instaura tra sé e l’opera che sta leggendo un rapporto speciale, una sorta di attrito, riconoscendosi in essa, in quanto vi trova conferma di ciò che è o di quello che sta cercando, dice Erri. Ogni lettore di Erri, infatti, è costretto a fermarsi , non appena inciampa in uno dei gorghi della sua scrittura.
Che cos’ è per lei la scrittura? Ha chiesto qualcuno dal pubblico. È un residuo solido lasciato dal tempo, ha spiegato lo scrittore, avvalendosi di un’immagine che ha subito fatto comprendere il senso della sua affermazione. La scrittura è come quelle pozze marine prosciugate dal sole, nelle quali rimane visibile solo una crosta di sale. Ebbene, quel sale indurito, è la scrittura di Erri, che non inventa storie, perché non ha bisogno di farlo, potendo attingere nel pozzo della sua memoria. Così ogni fatto della propria vita, ogni persona cara hanno, grazie alla scrittura, la possibilità di rivivere e di farlo per sempre. Le sue storie esprimono il desiderio di riaffermare il passato, costringendolo a esserci una seconda volta: la scrittura diviene mezzo, e ciò ha del miracoloso, per tornare a essere da qualche parte, insieme a qualcuno. Non esistono “tempi supplementari”, non c’è un’altra vita dopo la morte, l’unica eternità è quella affidata alla pagina scritta. A ispirare lo scrittore, quindi, è il bisogno di raccontare la propria vita, soprattutto quella del suo passato, quando i racconti orali delle donne , in primis della madre, poi la stanza dei libri di suo padre hanno incoraggiato e avviato la sua attività di scrittore, iniziata con la produzione di favole sugli animali, sulla scia dell’entusiastica scoperta della favolistica latina. Ma per Erri c’è qualcosa di più. La scrittura e la lettura, infatti, diventano  strumenti per la vita, mezzi atti a svelare le insidie linguistiche di questi tempi ciarlatani, spacciatori di vocaboli falsi e produttori di parole prive di consistenza.
E siccome la lingua batte dove il dente duole, quale luogo è maggiormente deputato a guidare questa riscossa della parola,  se non la scuola? A che cosa, se non alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, spetta la riscoperta della responsabilità della parola? Più si legge, più si è padroni della propria lingua, questa è la sola e unica risposta ai precedenti interrogativi. Ed è la risposta di Erri De Luca.
Colpisce, perciò, che un uomo come lui, scrittore, saggista, poeta molto apprezzato, si schernisca con eccessiva modestia, di fronte a chi intravede nella sua parola scritta, un messaggio di verità. E questo perché lui stesso, in qualche modo lo ha autorizzato, definendo la verità come emozione improvvisa, anche se destinata a scomparire presto, travolta dall’ovvietà.
Sull’ovvietà delle sue parole, ci sarebbero molti dubbi, ma sull’emozione dei suoi gorghi linguistici, nessuno.

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