domenica 22 luglio 2012

La giardiniera della Giovine Italia

Anna Schiaffino Giustiniani , per un periodo della sua vita , svolse il ruolo di  giardiniera della

Giovine Italia, raccogliendo  fondi e divulgando le idee mazziniane. Lei donna dell'aristocrazia

ligure, figlia di un fedelissimo della Restaurazione, ma anche nipote, per parte materna, di un

repubblicano, strenuo difensore della Repubblica genovese.

  La sua formazione avviene a Parigi, in un clima certamente più liberale e libero rispetto a

quello delle sue coetanee nobili italiane. All’età di 10 anni si trasferisce a Genova, dove il

padre è stato nominato console. Qui riceve una raffinata educazione. Sono anni spensierati;

spesso è insieme al nonno che le trasmette la passione per la lettura e la musica. Non bella,

ma dotata di grande fascino e sensibilità, ben presto si interessa di politica, mostrando

simpatia per le idee liberali che cominciano a spirare dall’Europa. Viene data in sposa al

marchese Stefano Giustiniani che allora aveva  26 anni (Nina , 19), uomo compassato fino alla

noia, scettico e cinico;  dalla loro unione nasceranno due figli Teresa e Giuseppe, ma Nina

non sarà mai felice. Nel clima della Restaurazione che vede Genova annessa al Regno

sabaudo, Nina apre nella sua casa un salotto letterario frequentato da scrittori, politici, giovani

militari, tra cui Cavour. Subito Nina capisce che quell’uomo robusto , dallo sguardo furbo, farà

strada. Quasi subito nasce l’amore e quando Cavour accusato di cospirazione politica viene

confinato da Carlo Felice, la sua partenza fa esplodere la passione. Schierata dalla parte di

Mazzini, di cui incoraggia le azioni anche attraverso finanziamenti, dopo la morte del re, con

altre donne, si presenta a teatro con abiti sgargianti, anziché in lutto. Entra nella Giovine Italia

come giardiniera, ossia come persona addetta alla raccolta di fondi e alla divulgazione delle

idee mazziniane. Viene travolta dal fallimento dei moti mazziniani del ’33 e iscritta nelle liste di

proscrizione sabaude, perciò è costretta a lasciare Genova. Si trasferisce a Milano dove

accetta la corte di un giovane genovese da sempre innamorato di lei. (Si racconto che sia

morto in ospedale , stringendo le sue lettere). Dovendo fare  una visita cardiologica, Nina si

trasferisce a Torino, dove sarà in cura dal medico di casa Cavour. Così i due , 

approfittando dei momenti di assenza di Stefano, si incontrano più volte nell’albergo dove

Nina soggiorna, ma il marito scopre tutto e sequestra la corrispondenza, consegnandone una

parte al suo avvocato. La relazione subisce un arresto. Nina si sente sola e a 30 anni si sente

già vecchia; il marito è stanco di assecondarla e la fa passare per matta, la sua famiglia non

l’appoggia, in particolare la madre che vorrebbe costringerla a interrompere ogni contatto con

Cavour. I due amanti fissano un altro appuntamento (in realtà Cavour è sempre più tiepido e

interessato ad altre donne), ma lo scoppio del colera a Torino , ne impedisce la

realizzazione. Anna tenta il suicidio. Il colera uccide il padre e lei torna all’idea del suicidio,

Non muore, ma il veleno compromette seriamente la sua salute. Per la terza volta , fatale,

tenterà il suicidio , gettandosi dalla finestra della sua abitazione a Genova: un salto di 11

metri, al quale sopravviverà ancora qualche giorno.

giovedì 19 luglio 2012

Tiburzi, brigante maremmano

Tiburzi, brigante maremmano


Domenico Tiburzi

"Io sono Tiburzi, brigante maremmano. La Maremma non avrà altro brigante all'infuori di me. Non nominare Tiburzi invano. Onora i signori del luogo. Aiuta i disgraziati. Non ammazzare. Non rubare.  Non vedere. Non parlare  e soprattutto non fare la spia né ai carabinieri di Capalbio né al luogotenente di Orbetello".

Mi è capitato di leggere recentemente , per gentile suggerimento di una signora speciale, la biografia di Domenico Tiburzi, brigante maremmano. Il libro, di quelli con copertina rigida e rilegatura in tela, il timbro del Provveditorato agli Studi,  l'odore di muffa e le pagine ingiallite, ricostruisce con orgoglio campanilistico le vicende del brigante di Cellere, di cui esistono biografie più recenti ( digita Tiburzi sul sito http://www.ibs.it/). 

Tiburzi. La leggenda della Maremma
Tiburzi. La leggenda della Maremma, di Cavoli Alfio, editore Scipioni, 1996
Certamente il libro è stato galeotto nell'accentuare il fascino di questo singolare personaggio, che nelle fattezze esteriori mi  ricorda  mio nonno Giovanni a cui voglio dedicare queste brevi righe. Domenico Tiburzi nacque a Cellere nel 1836; divenne brigante a seguito dell'uccisione della guardia forestale del marchese del luogo, che lo aveva sorpreso a rubare una fascina di legna nel bosco padronale. Da allora iniziò la sua vita nella macchia, insieme ad altri compagni con i quali costituì una piccola banda. Era solito dire "ne levo dove ce n'è troppo e ne metto dove ce n'è poco", a sottolineare la sua vita da Robin Hood maremmano, condotta senza troppi fastidi,  grazie all'appoggio della popolazione locale. Non a caso fu catturato dopo ventanni di latitanza; ucciso, venne legato ad una colonna per la consueta foto-trofeo.
 Il parroco del luogo si oppose al seppellimento del brigante nel cimitero del paese e ciò suscitò le ampie proteste della popolazione locale, estremamente riconoscente al suo Robin. Così si giunse ad un compromesso: il corpo del brigante fu seppellito sul cancello d'ingresso del cimitero, metà dentro (le gambe), metà fuori (la testa e il cuore).
Lapide di Tiburzi nel cimitero di Capalbio
Al brigante è stato dedicato anche un film intitolato  Tiburzi , per la regia di Paolo Benvenuti, anno 1996. Ascoltate all'indirizzo  http://youtu.be/pXkNxEQ-gpw  la canzone Il brigante Tiburzi di Barnetti Bros Band.

Maria Rosa Marinelli, druda di Angelantonio Masini



Maria Rosa Marinelli





La Basilicata fu più di ogni altra regione  italiana terra di briganti e brigantesse. Là dove più forte fu la fame di terra, fiorì il più importante movimento di rivolta contro la piemontesizzazione dell'Italia meridionale. Tra le brigantesse lucane, ricordiamo Maria Rosa Marinelli, di cui sono stati ricostruiti gli atti del processo per manutengolismo a favore del brigantaggio. Per chi volesse saperne di più, consiglio la lettura del libro La storia del Risorgimento che non c'è sui libri di storia di Giovanni Fasanella e Antonella Grippo  (Sperling & Kupfer, 2010).
La storia  di Maria Rosa è quella di tante ragazze del Sud, figlie di poveri braccianti. Da questo punto di vista, la sua vicenda costituisce una sorta di paradigma; il tempo di queste ragazze era scandito tra il lavoro nei campi come braccianti d'estate e la tessitura della lana durante l'inverno. Spesso le uniche occasioni di socializzazione erano le feste religiose del paese, dove facevano bella mostra di sé ex soldati borbonici, uomini circondati ad un alone di fascino, accentuato dalla loro divisa azzurro cupo con i bottoni dorati. Bastava uno sguardo  perché scoppiasse l'amore e insieme al nuovo sentimento, l'inizio, per le donne,  di una vita impossibile. Gli ex soldati del Re bomba erano sovente sorvegliati speciali della Guardia nazionale, perché sospettati, e non a torto, di brigantaggio e insieme a loro, le loro donne, che, per sfuggire a una vita di persecuzioni e stenti, si davano alla macchia divenendo drude di briganti. Poteva poi accadere che durante un conflitto armato il capobrigante morisse e la sua donna si costituisse. Giudicata dai Tribunali militari che erano stati istitutiti in seguito alla legge Pica, la donna, riconosciuta colpevole, veniva  condannata ai lavori forzati, dopodiché ritornava alla vita normale , spesso tra onori e riconoscenze. Diversa sorte era riservata agli uomini , come mostrano le numerose foto scattate dai fotografi ufficiali dell'esercito, macabri trofei da esibire come deterrenti contro  il brigantaggio.
Maria Rosa Marinelli era una poverissima contadina di Marsicovetere, dal 1862 druda del capobrigante Angelantonio Masini, terzo tra i massimi ricercati dopo Carmine Crocco e Ninco Nanco. E' con lui quando il 20 dicembre 1864 il brigante viene sorpreso dalla Guardia nazionale nella casa  di un ex manutengolo di Padula. Masini viene ucciso, mentre lei riesce a fuggire saltando sui tetti della case vicine. Costituitasi , verrà sottoposta a processo.
Gli atti del processo, secondo la  ricostruzione fattane nel libro sopracitato, costituiscono un momento di profonda riflessione non solo per quanto concerne la vicenda della donna, ma anche sulle conseguenze che il Risorgimento ebbe nell'Italia meridionale. Attraverso la figura del sottotenente Antonio Polistina, uomo del Sud, ma piemontesizzato, principale protagonista nelle indagine sul caso Marinelli , gli autori stimolano ad una riflessione che si sostanzia nelle parole  del militare : forse non era questo il sogno dell'Italia unita e soprattutto non erano quelli i mezzi per realizzarlo. E con ciò fa riferimento alle malvagità commesse contro i briganti e la popolazione civile in seguito all'emanazione della Legge Pica. Il nuovo stato italiano, infatti, scelse la repressione armata , coinvolgendo in questa lotta fratricida rivoltosi e civili, anzi in particolare  quest'ultimi in quanto fonte  di sostentameno principale del brigantaggio: colpendo la  rete di conniventi, informatori e  rifornitori, l'insorgenza sociale  si sarebbe estinta spontaneamente. 
 Maria Rosa racconta al sottotenente di essere stata perseguitata e infamata, sottoposta alla prova della verginità; racconta della morte del fratello  e del padre, di come rimasta sola fosse stata costretta a seguire il suo uomo, non avendo altra scelta, lei donna del Sud, senza altro futuro se non quello di una vita di stenti e di duro lavoro. Polistina , da parte sua, a poco a poco impara a conoscerla, ad apprezzarne la dignità e il coraggio e a riconoscere, infine,in tanta sofferenza, anche  la responsabilità del neostato italiano.
 Dopo il processo, il Tribunale di Potenza la condannerà a quattro anni di reclusione per "associazione a malfattori, estorsione, sequestro di persona, lesioni". Scontata la pena, Maria Rosa potè sposarsi e vivere nel suo paese, confortata dall'affetto dei suoi paesani.